Intervista a Max Casali per il singolo ContenuDi

Oggi siamo in compagnia di Max. Ci vuoi parlare dell’uscita del tuo nuovo brano “ContenuDi”?

Da alcuni anni sto notando come cantanti, discografici , bloggers e compagnia bella(?)  inseguano il facile guadagno della serie “pochi, maledetti e subito”, infischiandosene del fatto che una loro proposta possa accompagnare e far discutere le  generazioni successive. Ne consegue che, se non c’è ricerca di qualità esclusiva ed originale, tutto si amalgama in un calderone di poca sostanza che, magari, fa canticchiare il motivetto del momento ma tra due-tre anni chi se lo ricorda più? Do ragione al grande Mogol che tanti anni fa scrisse un libro dal titolo eloquente “L’Italia non canta più” ed un giornalista che lo intervistò in merito gli chiese se non era stato scelto un titolo troppo feroce. A quel punto Mogol gli disse: “Ah si? Allora facciamo cosi: mi canti un pezzo degli ultimi 10 anni…” Ovviamente, il giornalista non seppe rispondere.   

Come definisci la tua musica?

Uno slancio sociale, un’immersione nella ponderazione vigile di tematiche interiori e di popolo, con escursioni evasive finalizzate a distendere l’attenzione per poi riprenderla in maniera analitica nei brani dai contenuti “forti”. E’ lì che va prestata la migliore attenzione per ricavarne (forse) un piccolo suggerimento per non essere spettatori passivi della propria vita.

Quali sono gli artisti a cui ti ispiri?

Edoardo Bennato per l’originalità del suo sarcasmo ed il suo proporsi  come one-man-band con Eko 12 corde, kazoo, armonica e tamburello a pedale, Rino Gaetano per l’ironia dissacrante e l’immenso Battisti per l’ inarrivabile ricerca melodica. Oggi, chi si mette a testa china  8-10 ore al giorno per ricercare il perfetto incastro armonico, come faceva Lucio?

Com’è avvenuto il processo di scrittura di “ContenuDi”?

Da alcuni anni sto notando come cantanti, discografici , bloggers e compagnia bella(?)  inseguano il facile guadagno della serie “pochi, maledetti e subito”, infischiandosene del fatto che una loro proposta possa accompagnare e far discutere le  generazioni successive. Ne consegue che, se non c’è ricerca di qualità esclusiva ed originale, tutto si amalgama in un calderone di poca sostanza che, magari, fa canticchiare il motivetto del momento ma tra due-tre anni chi se lo ricorda più? Do ragione al grande Mogol che tanti anni fa scrisse un libro dal titolo eloquente “L’Italia non canta più” ed un giornalista che lo intervistò in merito gli chiese se non era stato scelto un titolo troppo feroce. A quel punto Mogol gli disse: “Ah si? Allora facciamo cosi: mi canti un pezzo degli ultimi 10 anni…” Ovviamente, il giornalista non seppe rispondere.   

Cosa dobbiamo aspettarci da te nel futuro?

Ho quasi pronto il nuovo album che uscirà tra gennaio e febbraio. Conterrà 11 pezzi nei quali si parla di giustizia sbilenca, di noia giovanile, di bullismo, di paradossi all’italiana ma anche di riflessioni distensive e fantasiose. Sarà diverso dai miei due precedenti  “Per certi versi” e “Secondo a…nessuno!”: meno opulenza assemblativa e più minimalista poiché c’è bisogno, in questi tempi caotici, di smorzare i toni per tornare a raccontare con garbo e discrezione.